Omelia della IV Domenica di Pasqua

Fratelli e Sorelle carissimi, chi vuole annunciare Cristo deve prepararsi ad essere contraddetto, affinché non accada che di fronte ai primi rifiuti, anche sgarbati, cominci a tirarsi indietro. Vediamo Paolo e Barnaba affrontati con bestemmie, con insulti, ma non li vediamo desistere. Alcuni giudei di Antiochia di Pisidia li ostacolano duramente, ma loro non si fermano e si rivolgono ai pagani, terreno duro, disprezzato dai Giudei, che però si rivelò fecondo. Prima, Paolo e Barnaba, si sono presentati ai Giudei come al popolo predisposto ad accogliere il Cristo, ma poi si rivolgono ai pagani, anche nella speranza di suscitare una gelosia positiva dei Giudei (Rm 11,11). Ma la gelosia di quei Giudei non fu positiva e divenne rabbia, desiderio di sopprimere gli annunciatori di Cristo. Influenti nella città di Antiochia, organizzarono l’ostilità dei governanti contro Paolo e Barnaba. Non è difficile immaginare che l’accusa (Cf. At 24,5) fu come quella rivolta contro Gesù: sono dei sobillatori dell’ordine pubblico e il loro messaggio altera gli equilibri sociali esistenti e lede l’autorità di Cesare. I due vennero scacciati dal territorio di Antiochia di Pisidia, ma, a testimonianza che non avevano alcuna mira terrena, si scossero la polvere dei sandali, il che era dire: niente di vostro noi vogliamo portare via da voi, così come era nostra intenzione fin dall’inizio. Momenti duri, drammatici, ma non troviamo nei discepoli scoraggiamento, anzi sono capaci di infondere letizia: “I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo”. Per loro, nessun dubbio sul trionfo di Cristo; solo una porta chiusa, ma che domani si aprirà. Certo dolore nel vedere il Signore rifiutato, ma non perdita di tono; si continua ad invitare a Cristo, a presentare Cristo: “Acclamate al Signore, voi tutti della terra, servite il Signore nella gioia”, dice il salmo. Dobbiamo esaminarci. Che cosa accade in noi quando proponiamo il Cristo e veniamo rifiutati con sgarbo? Non possiamo fare a meno di registrare un momento di dolore, e sentiamo ancora una volta che il nostro cammino sarà difficile. L’amor proprio insorge, suggerendoci “le ultime parole famose”, come ad esempio: “Il Signore vi punirà”; “Noi di voi non sappiamo che farcene”; “Siete gentaccia”, “Gli asini capiscono più di voi”. Ma queste parole non vanno dette, creano solo acredine, voglia di vendetta. Meglio dire, vincendo l’impulso dell’amor proprio: “Spero che un giorno Cristo vi interesserà”; “Non abbiamo cercato i vostri soldi, ma la vostra ricchezza interiore”; “Vi ho parlato di Cristo non per catturarvi a me, ma per portarvi a lui”; “La bestemmia è la reazione meno corretta che potevate avere, Dio vi perdoni”. San Paolo non disse parole amare, ma ferme, prive di timore: “Ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani”. Seguì la persecuzione per il messaggio e la franchezza di Paolo e Barnaba. Anche Pietro, di fronte all’intimidazione del Sinedrio, disse parole chiare e forti (At 4,19; 5,29): “Se sia giusto dinanzi a Dio obbedire a voi invece che a Dio giudicatelo voi”. A chi è unito a Cristo lo Spirito d’amore, di verità, di fortezza, fa fiorire sul labbro la parola giusta al momento giusto: non c’è da temere. Nei momenti in cui siamo contraddetti, pensiamo che stiamo soffrendo per Cristo e che il Signore è con noi. E si realizzerà quello che Gesù ci ha detto (Mt 10,19): “Vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire”. Non dobbiamo dubitare della fedeltà del Signore: riceveremo forza, coraggio, parola, nonostante le umiliazioni e le intimidazioni. Chi vuole seguire il Signore deve prepararsi alla tribolazione (Sir 2,1). Non che il cristianesimo sia subito tribolazione, al contrario subito è pace, gioia nello Spirito Santo (Gal 5,22; Rm 14,17), ma sono il mondo, il demonio che combattono chi ha la pace e la gioia di Cristo. Giovanni vide in cielo un popolo immenso, glorioso, festante. Sono i beati del cielo. Tutti hanno in mano una palma, segno di eterna festa per la vittoria. La loro vittoria in Cristo, contro il mondo, la carne, il demonio, è diventata un osanna incessante a Cristo. Tutti sono passati attraverso “la grande tribolazione”. Tutti i santi, tutti quelli che hanno testimoniato Cristo, sono stati dei martiri. Non tutti hanno versato il sangue e sono martiri in senso specifico, ma tutti sono stati martirizzati dalle calunnie e torturati nel cuore dagli insulti, dalle emarginazioni. Tutti sono venuti “dalla grande tribolazione”, ma sono ora pieni di gioia. Può nascerci una domanda: “Ma non ci potremo trovare di fronte a una tribolazione più forte di noi?”. Se seguiremo Cristo, se saremo candidi come colombe e prudenti come serpenti, se non faremo gesti che attizzano l’odio (Cf. Rm 13,3), le tribolazioni che dovremo sostenere, con l’aiuto di Dio, le sosterremo. Dio del resto non ci esporrà a difficoltà più forti di noi. Ma se noi ci facciamo dei nemici con comportamenti d’orgoglio, con parole di durezza, se ci esponiamo ad inutili pericoli, allora la tribolazione sarà come un’onda che tutto travolge, anche il cuore (Cf. Rm 8,35). Se staremo uniti al Signore si avvereranno le sue parole: “Nessuno le strapperà dalla mia mano”. Gesù ci sostiene, ci tiene per mano, ci dà forza. Dove c’è un cristiano che lotta, che testimonia, che soffre con pace, che vince gli scoraggiamenti, lì c’è Cristo; Cristo in lui. Il Padre può giungere, nel suo mistero d’amore, ad “abbandonarci” come fece con Cristo, ma mai il Figlio ci abbandona; poiché noi sosteniamo gli “abbandoni” del Padre proprio perché il Figlio vive in noi (Cf. Gal 2,20), e ci dona la forza del suo Spirito. Ma, bisogna precisare, il Padre ci abbandona solo apparentemente. Ci abbandona nel senso che ci toglie la dolce consolazione sensibile dello Spirito Santo, il quale tuttavia non cessa di agire nelle profondità dell’anima. Così chi è unito a Cristo è sostenuto da lui, e anche se il Padre lo “abbandona” facendogli vivere “l’ora nona” (Cf. Mt 27,46), sperimenta che lo Spirito Santo, dono del Padre meritato per noi dal Figlio, rimane in lui per unirlo ancor più a Cristo nell’apertura adorante al Padre. Se uno non si salva è perché non ha voluto salvarsi; è perché non si è giudicato degno della vita eterna (Cf. At 13,46). Allora, viviamo l’esempio degli apostoli, che hanno annunciato Cristo crocifisso e risorto senza paura. Ricordiamoci che quando veniamo insultati a causa del nome di Gesù, è innanzi tutto Gesù che viene combattuto in noi (At 9,4), e dunque lui vince in noi, che crediamo in lui, che imitiamo obbedienti lui. Ma la “grande tribolazione” non fornisce via di scampo a quelli che si adoperano per produrla. Non dà loro pace, e il loro re, il maligno, li affonderà nella eterna tribolazione, nell’orrore infernale. Noi viviamo nel mondo che ci dà la “grande tribolazione”, ma per il Battesimo sfuggiamo trionfalmente al suo accerchiamento. Le acque del Battesimo, ci hanno salvato, di salvezza ben maggiore di quello che fecero le acque del Mar Rosso contro l’esercito del faraone. Il faraone dell’abisso e il suo esercito infernale ci inseguono, ma non ci possono raggiungere, e saranno sommersi nel loro stesso odio, che come onda li travolgerà eternamente, infatti se al momento il faraone dell’abisso sente il suo odio soddisfatto quando lega anime al peccato, alla fine del tempo rimarrà serrato per sempre nel pozzo dell’abisso (Ap 9,2; 20,10), senza che il suo orrore abbia spazio se non in se stesso.

Laudetur Iesus Christe. Semper Laudetur

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